LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                           Sezione Lavoro 
 
    composta dagli ill.mi sigg.ri magistrati: 
        dott. Antonio Manna, Presidente; 
        dott.ssa Enrica D'Antonio, consigliere; 
        dott. Umberto Berrino, consigliere; 
        dott. Giulio Fernandes, consigliere; 
        dott.ssa. Rossana Mancino, rel. consigliere; 
    ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
9451-2018 proposto  da:  I.N.P.S.  -  Istituto  nazionale  previdenza
sociale, in  persona  del  presidente  e  legale  rappresentante  pro
tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via  Cesare  Beccaria  n.
29,  presso  l'Avvocatura  centrale  dell'Istituto,  rappresentato  e
difeso dagli avvocati Antonietta Coretti, Vincenzo  Triolo,  Vincenzo
Stumpo; ricorrente; 
    contro N. P., elettivamente domiciliato in Roma, via Alberico  II
n.  4,  presso  lo  studio,  dell'avvocato  Luca  Santini,   che   lo
rappresenta e difende; controricorrente; 
    avverso la sentenza n. 9/2018 della Corte d'appello  di  Brescia,
depositata il 16 gennaio 2018 R.G.N. 477/2017; 
    udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
2 aprile 2019 dal consigliere dott. Rossana Mancino; 
    udito il pubblico ministero in persona del sostituto  Procuratore
generale dott. Stefano Visona', che ha concluso per il rigetto  e  in
subordine rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea; 
    udito l'Avvocato Antonietta Coretti; 
    udito l'Avvocato Luca Santini. 
 
                          Rilevato in fatto 
 
    1. La Corte d'appello di Brescia, con  sentenza  del  16  gennaio
2018,  ha  respinto   l'impugnazione   proposta   dall'INPS   avverso
l'ordinanza emessa dal Tribunale  di  Brescia,  di  accoglimento  del
ricorso proposto ai sensi degli articoli 28  decreto  legislativo  n.
150 del 2011, 44 testo unico sull'immigrazione e  702-bis  codice  di
procedura civile da N.  P.  (cittadino  di  nazionalita'  senegalese,
titolare di permesso unico  di  soggiorno  per  motivi  di  lavoro  e
residente  in  Italia),   con   condanna   dell'INPS   al   pagamento
dell'assegno di  natalita',  previsto  dall'art.  1  della  legge  di
bilancio per il 2015 - n. 190 del 2014, commi 125-129, che era  stato
negato in quanto non  titolare  del  permesso  di  soggiorno  UE  per
soggiornanti di lungo periodo di cui all'art. 9  decreto  legislativo
25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero). 
    2. La Corte territoriale ha condiviso l'ordinanza  impugnata  che
aveva riscontrato la discriminazione per nazionalita' oggettiva nella
circostanza  che  la  legge,  violando  l'art.  12  della   direttiva
2011/98/UE che garantisce ai titolari del permesso unico di soggiorno
il diritto alla parita' di trattamento rispetto  ai  cittadini  dello
Stato membro  in  materia  di  sicurezza  sociale,  aveva  introdotto
nell'ordinamento un beneficio assistenziale riconoscendolo, quanto ai
cittadini di Paesi terzi, unicamente a quelli in possesso di permesso
di lungo soggiorno. 
    3. Inoltre, la Corte d'appello ha ritenuto legittimo  il  ricorso
all'azione antidiscriminatoria trattandosi di diniego di  prestazione
richiesta da cittadini di Stati terzi in ragione della violazione del
diritto  alla  parita'  di  trattamento  ed  in  quanto   la   stessa
prestazione era stata richiesta in giudizio al solo fine di rimuovere
la discriminazione. 
    4. Quanto poi alla inclusione, ai sensi dell'art. 12, paragrafo 1
lettera e) della direttiva UE 2011/98,  del  beneficio  in  questione
all'interno  dei  settori  della  «sicurezza  sociale»  definiti  nel
regolamento  CE  883/2004  art.  3,   comma   5,   ed   alla   natura
immediatamente applicativa  della  direttiva  appena  richiamata,  la
Corte  territoriale  ha  incluso  l'assegno  di  natalita',  previsto
dall'art. 1, commi 125-129, legge n. 190 del 2014, nel settore  della
sicurezza sociale in quanto il regolamento CE n.  883/2004  contempla
trattamenti «contributivi  e  non  contributivi»  ed  entrambi  vanno
compresi nell'elenco di cui al primo comma del medesimo  art.  3  che
indica, alla lettera b), «i trattamenti di  maternita'  e  paternita'
assimilati» ed alla lettera j) le «prestazioni familiari».  L'art.  1
del  regolamento  citato,  inoltre,   definisce   quali   prestazioni
familiari «tutte le prestazioni in natura o  in  denaro  destinate  a
compensare i carichi familiari, ad esclusione  degli  anticipi  sugli
assegni  alimentari  e  degli  assegni  di  nascita  o  di   adozione
menzionati nell'allegato 1», dove l'espressione «compensare i carichi
familiari» deve essere interpretata, secondo  quanto  ritenuto  dalla
Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea,  con  riferimento  ad  un
contributo pubblico al bilancio familiare destinato ad alleviare  gli
oneri derivanti dal mantenimento dei figli (CGUE  19  settembre  2013
causa C-216/12 e C-217/12), non essendo rilevante che la  prestazione
in esame sia  qualificata  o  meno  come  previdenziale  dal  diritto
nazionale, ma rilevando solo che la misura venga erogata prescindendo
da  ogni  valutazione  individuale  o  discrezionale  delle  esigenze
personali dei beneficiari, secondo criteri legali quali le dimensioni
del nucleo familiare ed il reddito. 
    5.  Muovendo  da  queste  premesse,  la  Corte  territoriale   ha
ravvisato, nella  disposizione  denunciata,  effetti  discriminatori,
effetti conseguentemente  riprodotti  nell'attivita'  della  pubblica
amministrazione che a questa si e' conformata,  non  potendo  neanche
ravvisare  (in  conformita'  con  quanto  stabilito  dalla  Corte  di
giustizia dell'Unione europea con la sentenza del 21 giugno  2017  C.
449/2016) alcuna ipotesi di legittima facolta' di deroga al principio
di parita' di trattamento, fissato dall'art. 12  della  direttiva  UE
2011/98, non avendo lo Stato italiano manifestato esplicitamente tale
volonta'. 
    6. Avverso tale sentenza ricorre l'INPS, con ricorso affidato  ad
un motivo, cui resiste, con controricorso, N. P. 
    7. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378  codice
di procedura civile. 
    8. Con  l'unico  articolato  motivo  di  ricorso,  l'Inps  deduce
violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli articoli
1, commi da 125 a 129, legge n. 190 del 2014 e connesso  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri del 27 febbraio 2015,  articoli
4-bis, comma 1-bis, 5,  commi  8.1.  e  8.2.,  9,  dodicesimo  comma,
lettera c); articoli 43 e 44 decreto legislativo  n.  286  del  1998,
anche in relazione all'art. 12  delle  disposizioni  sulla  legge  in
generale, all'art. 12 della direttiva  2011/98/UE,  recepita  con  il
decreto legislativo n. 40 del 2014 ed all'art. 3 del  regolamento  CE
883/2004, per avere la sentenza  impugnata  riconosciuto  il  diritto
delle controparti, cittadini extracomunitari titolari di permesso  di
soggiorno per motivi di lavoro e quindi privi del permesso  di  lungo
soggiorno, a percepire le somme richieste da ciascuno per  i  periodi
indicati, a titolo di assegno  di  natalita'  previsto  dall'art.  1,
commi da 125 a 129, legge n. 190 del 2014  in  favore  dei  cittadini
italiani o di uno Stato membro dell'Unione  europea  o  di  cittadini
extracomunitari con permesso di  soggiorno  di  lungo  periodo  -  in
possesso del requisito reddituale previsto non  superiore  ai  25.000
euro annui con maggiorazione in caso di reddito annuo non superiore a
7.000 euro - pur in assenza, nel disposto normativo indicato, di  una
previsione  specifica  e  definendo   discriminatoria   la   condotta
dell'INPS. 
    12. Ad avviso della  parte  ricorrente,  dall'impianto  normativo
istitutivo  della  prestazione  rivendicata  e,   segnatamente,   dal
meccanismo di monitoraggio della spesa in relazione al  numero  delle
domande, in concreto,  presentate  con  possibilita'  per  l'INPS  di
sospensione dell'acquisizione delle domande  in  attesa  del  decreto
ministeriale previsto dal decreto del Presidente  del  Consiglio  dei
ministri del 27 febbraio 2015, art. 6, comma 2, si  evincono  sia  la
natura di «premio», diretto ad incentivare la  natalita'  nell'ambito
del territorio  nazionale  a  causa  della  notoria  flessione  delle
nascite sia l'estraneita' di tale misura rispetto  al  sistema  delle
tutele di sicurezza sociale richiamate dal regolamento CEE  883/2004;
in tal senso la parte  ricorrente  richiama  quanto  affermato  dalla
Corte costituzionale, con la sentenza n. 141 del  2014,  a  proposito
del cd. bonus bebe' previsto con legge della Regione Campania  n.  4,
art. 1, comma 78, del 2011, disposizione considerata  giustificata  e
razionale, come pure in casi analoghi era  avvenuto  da  parte  delle
sentenze della Corte costituzionale numeri 222, 178, 4 e 2 del  2013.
Gli inderogabili doveri di solidarieta', di cui all'art. 2  Cost.,  e
le misure di protezione della maternita', di cui all'art. 31, secondo
comma, Cost., sono realizzati, ad  avviso  dell'istituto  ricorrente,
dalla disposizione  contenuta  nell'art.  35,  comma  terzo,  decreto
legislativo n. 286 del 1998, la'  dove  e'  prevista  per  tutti  gli
stranieri, ancorche' non iscritti al Servizio sanitario nazionale, la
tutela della gravidanza e della maternita' a parita'  di  trattamento
con le cittadine italiane  e  la  tutela  della  salute  del  minore.
Peraltro, rimarca l'ente previdenziale richiamando la sentenza  della
Corte costituzionale n. 222 del 2013, il radicamento  nel  territorio
nazionale derivante dalla titolarita' del permesso di lungo soggiorno
e' elemento valido a giustificare il  riconoscimento  di  prestazioni
sociali solo a coloro i quali hanno conseguito tale permesso a fronte
della  limitatezza  delle  risorse  economiche  disponibili  e  della
discrezionalita' che va riconosciuta al legislatore ove non si  versi
in misure  appartenenti  ai  livelli  essenziali  di  assistenza.  In
ragione di tali considerazioni, dunque,  la  disposizione  denunciata
quale discriminatoria e',  per  l'INPS,  misura  del  tutto  estranea
all'ambito della sicurezza sociale oggetto della previsione contenuta
nell'art. 12 della direttiva UE 2011/98 e,  quindi,  all'oggetto  del
diritto alla parita' di  trattamento  ivi  previsto,  e  conforme  ai
principi costituzionali di cui agli articoli 2,  3,  31  e  38  della
Costituzione. 
    13. Infine, l'Istituto evidenzia  che  la  propria  tesi  non  e'
contraddetta dalla sentenza della Corte di giustizia  del  21  giugno
2017 C- 449/2016 in quanto l'assegno di natalita' di cui  alla  legge
n. 190 del 2014 e' destinato ad  incentivare  le  nascite  e  rientra
nella previsione dell'art. 70 del citato  regolamento,  quale  misura
retta dalla fiscalita' generale, a  differenza  dell'assegno  per  il
nucleo familiare erogato dai comuni di cui all'art. 65 della legge n.
448 del 1998, che e' un contributo pubblico  destinato  ad  alleviare
gli oneri derivanti dal mantenimento dei figli. 
    14. Il controricorrente eccepisce l'inammissibilita' del ricorso,
ai sensi dell'art. 366 del codice di procedura civile, per  l'assenza
di relazione tra la regola giuridica applicata dal giudice di  merito
e  la  regola  ritenuta  corretta,  con   l'ulteriore   elemento   di
genericita' costituito dall'aver affermato  in  modo  apodittico  che
l'assegno di natalita' in oggetto non  e'  prestazione  di  sicurezza
sociale, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza  impugnata.
In ogni caso  i  controricorrenti  ribadiscono  l'infondatezza  delle
affermazioni sottese al motivo di ricorso, in quanto il diritto a non
subire  disparita'  di  trattamento,  fondato  sull'art.   12   della
direttiva UE 2011/98, deriva dalla inclusione della loro posizione di
cittadini titolari di permesso di soggiorno che consente di  lavorare
- paragrafo 1, lettere b) e c) della citata  direttiva  2011/98  -  e
dalla natura della prestazione rivendicata,  rientrante  nel  settore
della sicurezza sociale definito dal regolamento  n.  883  del  2004,
art.  3,  primo  comma,  lettera  b)  «prestazioni  di  maternita'  e
paternita' assimilate»  e  lettera  j)  «prestazioni  familiari»,  in
quanto diretta a  tutelare  la  maternita'  e  la  paternita'  ed  ad
alleviare  gli  oneri  familiari,  come   peraltro   ribadito   nella
giurisprudenza europea (CGUE 16 luglio 1992 in C. 78/91; CGUE 5 marzo
1998 in C-160/1996; CGUE 14 giugno 2016 C-308/2014; CGUE C- 21 giugno
2017 C-449/16). 
    15. Quanto, poi, al profilo relativo al vincolo di spesa  annuale
imposto all'Istituto attraverso il monitoraggio dell'andamento  delle
uscite di cassa, il controricorrente  osserva  che  tale  meccanismo,
oltre a non poter evitare  la  necessaria  applicazione  del  diritto
euro-unitario,  in   concreto,   data   la   scadenza   del   termine
originariamente previsto per la fruizione del beneficio (31  dicembre
2017), e' semmai prova del fatto che il  riconoscimento  del  diritto
anche ai titolari  del  permesso  di  soggiorno  per  lavoro  non  ha
comportato alcuna conseguenza sul piano della  copertura  finanziaria
prevista. 
    16. Infine, il  controricorrente  segnala  la  natura  del  tutto
apodittica dell'affermazione  dell'INPS  relativa  alla  contrarieta'
alla  finalita'  di  incentivo  alla   natalita',   del   trattamento
richiesto, con una presenza solo temporanea dei titolari di  permesso
di unico di lavoro, in quanto nulla, in concreto, puo'  collegare  il
possesso  del  permesso  unico  di  soggiorno  alla  presunzione   di
permanenza solo  temporanea  sul  territorio  nazionale,  soprattutto
considerando che il permesso di lungo  periodo,  di  cui  all'art.  9
decreto legislativo n. 286 del 1998, e' subordinato, oltre  che  alla
residenza effettiva per almeno cinque anni, anche  al  raggiungimento
di un reddito minimo ed alla fruizione di un alloggio idoneo,  e  che
la direttiva UE 2011/98 non ha scelto questo criterio per selezionare
i soggetti cui va assicurata la parita' di trattamento in materia  di
sicurezza sociale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. Ritiene il Collegio, dovendosi escludere che  il  ricorso  sia
inammissibile per difetto di specificita' del motivo in ragione della
piena idoneita' dei  vizi  di  violazione  di  legge  prospettati  ad
incrinare  la  ricostruzione   giuridica   seguita   dalla   sentenza
impugnata, che la questione  prospettata  importi  innanzi  tutto  la
necessita' di verificare la legittimita' costituzionale dell'art.  1,
comma 125, legge n. 190 del 2014, in relazione agli articoli 3 Cost.,
31 Cost. e 117, primo comma, Cost., quest' ultimo in  relazione  agli
articoli 20, 21, 24, 31 e 34 della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000  e
adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007. 
    2. Il testo dell'art.  1,  comma  125,  legge  n.  190  del  2014
prevede: «Al fine di incentivare  la  natalita'  e  contribuire  alle
spese per il suo sostegno, per ogni figlio nato o adottato tra il  1°
gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017  e'  riconosciuto  un  assegno  di
importo pari a 960 euro annui erogato  mensilmente  a  decorrere  dal
mese  di  nascita  o  adozione.  L'assegno,  che  non  concorre  alla
formazione del reddito complessivo di cui all'art. 8 del testo  unico
di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22  dicembre  1986,
n. 917, e successive modificazioni, e' corrisposto fino al compimento
del terzo anno di eta' ovvero del terzo anno di ingresso  nel  nucleo
familiare a seguito dell'adozione, per i figli di cittadini  italiani
o di uno Stato membro dell'Unione europea o  di  cittadini  di  Stati
extracomunitari con permesso di soggiorno di cui all'art. 9 del testo
unico delle disposizioni concernenti la disciplina  dell'immigrazione
e  norme  sulla  condizione  dello  straniero,  di  cui  al   decreto
legislativo 25 luglio  1998,  n.  286,  e  successive  modificazioni,
residenti in Italia  e  a  condizione  che  il  nucleo  familiare  di
appartenenza del genitore richiedente l'assegno sia in una condizione
economica corrispondente a un valore dell'indicatore della situazione
economica equivalente (ISEE), stabilito ai sensi del  regolamento  di
cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri  5  dicembre
2013, n. 159, non superiore a 25.000 euro annui. L'assegno di cui  al
presente comma e' corrisposto, a  domanda,  dall'INPS,  che  provvede
alle relative attivita', nonche' a  quelle  del  comma  127,  con  le
risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili  a  legislazione
vigente. Qualora il nucleo familiare  di  appartenenza  del  genitore
richiedente l'assegno sia in una condizione economica  corrispondente
a un valore dell'ISEE, stabilito ai sensi del citato  regolamento  di
cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n.  159  del
2013, non superiore a 7.000 euro annui, l'importo dell'assegno di cui
al primo periodo del presente comma e' raddoppiato». 
    3. Rilevanza della questione di  costituzionalita'.  Il  presente
giudizio e' stato introdotto dall'attuale controricorrente  ai  sensi
dell'art. 44 decreto legislativo n.  286  del  1998,  denunciando  la
natura  oggettivamente  discriminatoria  della  negazione,  da  parte
dell'INPS, dell'assegno di natalita' di  cui  sopra  in  ragione  del
possesso del permesso unico di lavoro anziche'  di  quello  di  lungo
soggiorno  ex  art.  9  decreto  legislativo  n.  286  del  1998.  In
particolare, e' stato fatto valere il  diritto  a  beneficiare  dello
stesso trattamento riservato ai cittadini dello Stato italiano in cui
soggiornano per quanto  concerne  l'erogazione  dell'assegno  di  cui
all'art. 1, commi 125-129, legge n. 190 del 2014, in applicazione del
disposto dell'art. 12, paragrafo 1, lettera  e)  della  direttiva  UE
2011/98, con richiesta di non applicazione del disposto  della  norma
il cui testo, invece, li esclude, ritenendola  incompatibile  con  il
diritto europeo. 
    4. E' evidente che il chiaro tenore testuale dell'art.  1,  comma
125, legge n. 190 del 2014 dimostra che il carattere  in  se'  lesivo
del diritto a non subire disparita' di trattamento e'  da  verificare
innanzi tutto nella previsione di legge che ha  introdotto  l'assegno
di natalita', selezionando i  beneficiari  in  ragione  di  requisiti
diversi a seconda della nazionalita', essendo la  condotta  dell'INPS
solamente applicativa di tale disposto. 
    5. Inoltre, avendo l'attuale parte intimata chiesto  la  condanna
dell'INPS all'erogazione dell'assegno  di  natalita'  quale  concreta
misura idonea ad  eliminare  gli  effetti  della  discriminazione  ed
avendo, in sede di legittimita', la parte ricorrente denunciato vizio
di  violazione  di   legge   incentrato   sulla   affermata   erronea
interpretazione di tale disposizione  in  relazione  alle  previsioni
della direttiva UE 2011/98, la concreta rilevanza della questione  di
legittimita' costituzionale che la involge e' evidente,  non  potendo
la Corte di cassazione fare a meno di vagliare l'art. 1,  comma  125,
legge n. 190 del 2014 al fine di risolvere la  questione  oggetto  di
giudizio. 
    6. Non vi  e'  dubbio,  inoltre,  che  qualora  si  dovesse  fare
applicazione  della  disposizione  appena  citata,  la  domanda   del
cittadino extracomunitario sarebbe rigettata perche' e' pacifico che,
pur essendo presenti gli ulteriori presupposti  richiesti,  l'odierno
controricorrente, residente in Italia dal 1998 e titolare di permesso
unico lavoro, non e' titolare del permesso di lungo soggiorno ex art.
9 decreto legislativo n. 286 del 1998. 
    7. Ne' l'inequivocabile tenore letterale dell'art. 1, comma  125,
legge  n.  190  del  2014  -  che  per  i  cittadini  extracomunitari
espressamente condiziona il diritto all'assegno de quo, fra gli altri
requisiti, al permesso di soggiorno di cui  all'art.  9  del  decreto
legislativo n. 286 del 1998 - e' suscettibile di estensione in via di
interpretazione costituzionalmente conforme (donde la  necessita'  di
investire il giudice delle leggi). 
    8. Detta rilevanza, peraltro, non e' impedita dalla pur  concreta
possibilita'  di  procedere  alla  disamina  del  motivo  di  ricorso
privilegiando la finalita', perseguita dai giudici di merito, diretta
esclusivamente alla verifica di compatibilita' della norma denunciata
con la  previsione  dell'art.  12,  paragrafo  1  lettera  e),  della
direttiva UE 2011/98, che impone la parita' di trattamento in  favore
dei «lavoratori dei paesi terzi  di  cui  all'art.  3,  paragrafo  1,
lettere b) e c)» e che,  ove  l'incompatibilita'  si  evidenzi  anche
previo ricorso pregiudiziale alla CGUE, conduce  all'inapplicabilita'
alla fattispecie in esame del disposto dell'art. 1, comma 125,  legge
n. 190 del 2014 in ragione del principio di  prevalenza  del  diritto
euro-unitario sul diritto nazionale. 
    9.  Va  infatti  osservato  che  l'interpretazione  della  citata
disposizione, sollecitata, ancor prima che dal motivo di ricorso  per
cassazione, dalla stessa denuncia degli effetti discriminatori insiti
nella disposizione formulata dai ricorrenti in primo  grado,  importa
la  necessaria  disamina  della  conformita'  a  Costituzione   della
disposizione in esame che richiama, testualmente, l'art.  9,  decreto
legislativo n. 286 del 1998  e,  quindi,  il  sistema  normativo  che
disciplina la  materia  dei  permessi  di  soggiorno  e  dei  diritti
riguardanti i cittadini stranieri delineato dal  citato  testo  unico
che, attraverso le modifiche apportate dai due articoli  del  decreto
legislativo n. 40 del 2014, ha pure recepito la direttiva UE 2011/98. 
    10. Nel caso di specie, ritiene  il  Collegio  che  il  peculiare
meccanismo di funzionamento della non applicazione della disposizione
contenuta nell'art. 1, comma 125, legge n. 190 del  2014,  ovviamente
limitato all'inciso che richiede per cittadini extracomunitari  anche
il possesso di permesso di  lungo  soggiorno,  non  possa  realizzare
effetti   analoghi   a   quelli   derivanti   dalla   pronuncia    di
incostituzionalita' per violazione degli articoli 3 Cost., 31 Cost. e
117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli articoli  20,
21, 24, 31 e 34 della  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
europea (CDFUE). 
    11.  Solo  in  sede  di  giudizio  costituzionale  e'  possibile,
infatti,  valutare  la  ragionevolezza  della  scelta   discrezionale
legislativa, frutto di bilanciamento  dei  contrapposti  interessi  e
considerare, come si dira' piu' approfonditamente in sede di giudizio
di non manifesta infondatezza, gli  indici  normativi  che  avrebbero
dovuto condurre il legislatore a riconoscere,  quale  unico  criterio
selettivo giustificato e ragionevole,  il  possesso  della  carta  di
soggiorno o di permesso di soggiorno di durata non  inferiore  ad  un
anno, previsto dall'art. 41 decreto legislativo n. 286 del 1998 quale
espressione di un principio  generale,  al  fine  di  riconoscere  ai
titolari la piena equiparazione ai cittadini italiani ai  fini  della
fruizione delle provvidenze e delle prestazioni, anche economiche, di
assistenza sociale. 
    12. Ad avviso del Collegio, per tali ragioni  legate  ai  diversi
effetti  che  potrebbero  derivare  dalla   pronuncia   della   Corte
costituzionale rispetto al sistema  al  cui  interno  si  colloca  la
disposizione    sospettata    di    illegittimita'    costituzionale,
l'applicabilita' alla fattispecie  della  direttiva  UE  2011/98  non
determina l'irrilevanza della questione  di  costituzionalita'  e  la
stessa va subito sollevata. 
    13. Cio' e' in sintonia con quanto affermato dalla  piu'  recente
giurisprudenza costituzionale (Corte costituzionale n. 63 del  2019),
secondo la quale «[...] ove il giudice a quo ha inteso  formulare  in
termini chiari e definitivi  le  questioni  sottoposte  all'esame  di
questa Corte, occorre in questa sede  ribadire  -  sulla  scorta  dei
principi gia' affermati nelle sentenze n. 269 del 2017 e  n.  20  del
2019 - che a questa Corte non puo'  ritenersi  precluso  l'esame  nel
merito delle questioni di legittimita' costituzionale  sollevate  con
riferimento sia a parametri interni, anche  mediati  dalla  normativa
interposta convenzionale, sia - per il tramite degli  articoli  11  e
117, primo comma, Cost. - alle norme corrispondenti della  Carta  che
tutelano, nella sostanza, i medesimi diritti; e cio'  fermo  restando
il potere del giudice comune  di  procedere  egli  stesso  al  rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia  UE,  anche  dopo  il  giudizio
incidentale  di  legittimita'  costituzionale,  e  -  ricorrendone  i
presupposti - di non applicare, nella fattispecie concreta sottoposta
al suo esame, la disposizione nazionale in contrasto  con  i  diritti
sanciti dalla Carta [..]. Laddove pero' sia stato lo  stesso  giudice
comune a sollevare una questione di legittimita'  costituzionale  che
coinvolga anche  le  norme  della  Carta,  questa  Corte  non  potra'
esimersi, eventualmente previo rinvio  pregiudiziale  alla  Corte  di
giustizia UE, dal fornire una  risposta  a  tale  questione  con  gli
strumenti che le sono propri; strumenti tra i quali si annovera anche
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della  disposizione
ritenuta in contrasto con la Carta (e pertanto con gli articoli 11  e
117,   primo   comma,   Cost.),    con    conseguente    eliminazione
dall'ordinamento, con effetti erga omnes, di tale disposizione». 
    14. Non manifesta infondatezza. L'art. 1, comma 125, legge n. 190
del 2014, riferito ai nuovi nati o adottati tra il primo gennaio 2015
ed il 31 dicembre 2017, e' una  misura  che  concorre  a  formare  il
sistema dei sostegni sociali alla genitorialita'. 
    15. Il beneficio consiste nell'erogazione di un assegno, da parte
dell'Inps, nell'arco dei primi tre anni di vita  per  ciascun  figlio
nato o adottato da genitori residenti sul  territorio  nazionale  che
abbiano redditi non superiori ad euro 25.000 secondo  gli  indicatori
ISEE. Laddove, pero', i genitori siano cittadini extracomunitari,  si
richiede l'ulteriore requisito  della  titolarita'  del  permesso  di
lungo soggiorno ex art. 9 decreto legislativo n. 286 del 1998, con la
conseguenza che la prestazione puo' essere erogata solo ai  cittadini
extracomunitari  che,  ai  fini  dell'ottenimento  del  permesso   in
questione, abbiano dimostrato di disporre di un reddito non inferiore
all'importo annuo dell'assegno  sociale  e,  nel  caso  di  richiesta
relativa ai familiari, di un reddito sufficiente secondo i  parametri
indicati nell'art. 29, comma 3, lettera b) del decreto legislativo n.
286 del 1998, nonche' di un alloggio idoneo e  di  aver  superato  un
test di conoscenza della lingua italiana. 
    16. L'onere finanziario relativo all'erogazione  dell'assegno  e'
esclusivamente a  carico  dello  Stato  e,  come  afferma  la  stessa
disposizione, la misura persegue  la  finalita'  di  «incentivare  la
natalita'» e di «contribuire alle spese per il suo sostegno». 
    17. A fronte  di  cio',  e  segnatamente  della  limitazione  dei
possibili beneficiari in ragione della fruizione di redditi modesti o
addirittura estremamente bassi, non pare seriamente dubitabile che si
tratti di misura soprattutto  tesa  al  sostegno  delle  famiglie  in
condizioni economiche non agiate (qualora non si superi il  tetto  di
25.000 euro annui) o addirittura in stato di bisogno  (per  l'ipotesi
di redditi non superiori a 7.000 euro annui). 
    18. Peraltro, l'art. 5 del decreto del Presidente  del  Consiglio
dei ministri 27 febbraio  2015,  emanato  per  dare  attuazione  alla
misura, prevede la decadenza dal beneficio in ragione della  perdita,
durante il triennio, dei requisiti economici posseduti al momento  di
presentazione della domanda, di decesso del figlio o di perdita della
responsabilita' genitoriale. 
    19. In altri termini  si  tratta  di  prestazione  di  assistenza
sociale di  contenuto  economico  realizzante  uno  degli  interventi
finalizzati alla valorizzazione ed al sostegno delle  responsabilita'
familiari,  cosi'  come  previsto,  in  applicazione   dei   principi
costituzionali fissati dagli articoli 2 e 3 Cost., dalla legge n. 328
del 2000, all'art. 16. 
    20. La disposizione si caratterizza per l'adozione di un criterio
di selezione dei beneficiari affidato a ragioni di nazionalita' e  di
contemporanea presenza di condizioni  economico-sociali  peculiari  -
compendiate nel rinvio all'art. 9, decreto  legislativo  n.  286  del
1998 - relative ai soli  cittadini  extracomunitari,  essendo  invece
comuni a cittadini europei ed extracomunitari gli ulteriori requisiti
dell'attualita' della residenza  in  Italia  e  della  percezione  di
redditi non superiori alle modeste soglie sopra indicate. 
    21. In sostanza, la fruizione dell'assegno risulta, per  testuale
previsione di legge e senza che possa  sperimentarsi  alcuna  diversa
interpretazione che  eviti  l'oggettiva  disparita'  di  trattamento,
esclusa nei confronti dei nati o degli adottati tra il primo  gennaio
2015 ed il 31 dicembre 2017 da genitori cittadini extracomunitari che
fruiscono di redditi non superiori ad euro 7.000 o  ad  euro  25.000,
sono legalmente residenti in Italia in base  ad  idoneo  permesso  di
soggiorno e lavoro, ma non risultano titolari del permesso  di  lungo
soggiornanti di cui all'art. 9 decreto legislativo n. 286 del 1998. 
    22. Inoltre, la disposizione in esame non si  raccorda  in  alcun
modo con la previsione contenuta nell'art. 41 del decreto legislativo
n. 286 del  1998  (disposizione  appartenente  all'insieme  di  norme
contenute nel testo unico che l'art. 1,  comma  4,  definisce  «norme
fondamentali di  riforma  economico-sociale  della  Repubblica»)  che
riconosce in linea  generale  parita'  di  trattamento,  rispetto  ai
cittadini italiani, in materia di  assistenza  sociale  ai  cittadini
extracomunitari titolari di permesso di soggiorno e di lavoro  validi
per almeno un anno. 
    23.  La  disposizione   suscita   il   dubbio   di   legittimita'
costituzionale per violazione dell'art. 3  Cost.,  sotto  il  profilo
della irragionevolezza e della disparita' di  trattamento,  dell'art.
31 Cost., dell'art. 117, primo comma Cost., quest'ultimo in relazione
agli  articoli  20,  21,  24,  31  e  34  della  Carta  dei   diritti
fondamentali dell'Unione europea. 
    24. Thema decidendum. I profili della questione sono i seguenti. 
    Quanto alla possibile violazione dell'art. 3 della  Costituzione,
pare in  contrasto  con  il  principio  di  ragionevolezza  prevedere
dapprima  -  e  correttamente  -  che  l'erogazione  dell'assegno  di
natalita' debba essere uguale a parita' di bisogno, e  poi  escludere
contraddittoriamente dalla medesima  prestazione  sociale,  rilevante
perche'  a  contenuto  economico,  intere  categorie   di   soggetti,
selezionati non in base all'entita' o alla natura del bisogno, ma  ad
un  criterio  privo  di  ogni  collegamento  con  questo,  quale   la
titolarita' del permesso di lungo soggiorno che presuppone una durata
pregressa della residenza almeno quinquennale,  un  reddito  comunque
almeno pari all'importo dell'assegno sociale, un alloggio idoneo e la
conoscenza   della   lingua   italiana:   determinando,   con   cio',
l'esclusione di  chi  si  trova  in  situazione  di  maggior  bisogno
rispetto a tale categoria e disparita' di trattamento tra  situazioni
identiche o  analoghe,  con  conseguente  lesione  del  principio  di
eguaglianza. 
    25.  La  Corte  costituzionale  ha  gia'   ritenuto   illegittime
disposizioni  simili  a  quella  denunciata,  sul  rilievo  che   una
disciplina del tipo considerato introduce un elemento di  distinzione
arbitrario, proprio perche' non vi e' alcuna ragionevole correlazione
tra la residenza protratta nel tempo e i requisiti di  bisogno  e  di
disagio della persona che costituiscono il presupposto di fruibilita'
di una provvidenza sociale (sentenza n. 40 del 2011). 
    26.  Peraltro,  si  tratta  di  prestazione  sociale  erogata  in
occasione della nascita di un figlio o della sua adozione, da  fruire
nell'arco di tre anni e, quindi, relativa a  bisogni  essenziali  del
nucleo familiare da soddisfare nei limiti di durata contenuta in tale
arco temporale e destinata a non essere piu' erogata nell'ipotesi  in
cui venga meno qualcuno dei presupposti necessari durante il  decorso
del  triennio.  Sia  avendo  riguardo  alla  funzione  di   incentivo
all'incremento demografico che alla funzione di  sostegno  economico,
non si comprende in che relazione possano stare tali finalita' con le
circostanze di vita pregressa che  costituiscono  i  presupposti  per
ottenere il permesso di lungo soggiorno di  cui  all'art.  9  decreto
legislativo n. 286/1998. 
    27. Ne' a giustificare la pretesa giovano  considerazioni  legate
alla particolare finalita' di incentivare la natalita' nel territorio
nazionale che  legittimerebbe  l'imposizione  della  titolarita'  del
permesso di lungo  soggiorno,  quale  dimostrazione  del  particolare
radicamento  del  richiedente  nel  territorio  nazionale.   Infatti,
sebbene il permesso di lungo soggiorno dimostri  tale  radicamento  e
lasci  presagire  un  progetto  di  continuita'  in  tal  senso,   e'
altrettanto vero che tali considerazioni  non  risultano  logicamente
correlate con l'assegno di natalita' di cui si discute,  che  non  ha
solo  funzione  di   incentivo   all'innalzamento   demografico   ma,
soprattutto, riveste il ruolo di sostegno economico, limitato solo al
primo triennio di vita del bambino o del suo inserimento in  famiglia
in caso di adozione, alle famiglie meno agiate  i  cui  bisogni  sono
immediati ed indifferibili e certamente poco influenzati dai progetti
di vita a lungo termine. 
    28. Non e', dunque, rilevante in questa sede quanto ha  affermato
la Corte costituzionale a proposito della legittimita' costituzionale
di misure definite «assegni di natalita'» istituite da talune regioni
e  che  non  avevano  nessuna  funzione  di  sostegno  alle  famiglie
bisognose perche' erogate a prescindere da  limiti  reddituali  (vedi
Corte  costituzionale  n.  222  del  2013  in  relazione  alla  legge
regionale Friuli-Venezia Giulia n. 16 del 2011, art. 3). 
    29. Anzi, va ricordato che Corte costituzionale n. 141 del  2014,
nel giudicare la conformita'  all'art.  3  della  Costituzione  della
legge regionale della Campania n. 4 del 2011, istitutiva di un «bonus
bebe'» erogato a prescindere dal reddito familiare e solo sulla  base
della residenza biennale sul territorio regionale, ha affermato:  «La
questione - che, con riguardo al cosiddetto  "bonus  bebe'",  investe
propriamente il solo prescritto requisito della  permanenza  biennale
sul  territorio  regionale  -  non  e'  fondata,   poiche'   non   e'
irragionevole la previsione regionale che si  limiti  a  favorire  la
natalita' in correlazione alla presenza stabile del nucleo  familiare
sul territorio,  senza  che  vengano  in  rilievo  ulteriori  criteri
selettivi concernenti situazioni di bisogno o disagio,  i  quali  non
tollerano di  per  se'  discriminazioni  (cosi',  tra  le  altre,  le
sentenze n. 222, n. 178, n. 4 e n. 2 del 2013)». 
    30. Va aggiunta l'ulteriore considerazione che neppure  rilevano,
in senso contrario, valutazioni relative alla necessita' di  limitare
l'erogazione di prestazioni  di  natura  economica  eccedenti  quelle
essenziali in ragione della limitatezza  delle  risorse  disponibili,
posto  che  cio'  non  esclude   «che   le   scelte   connesse   alla
individuazione dei beneficiari - necessariamente da circoscrivere  in
ragione della limitatezza delle risorse disponibili - debbano  essere
operate sempre e comunque in ossequio al principio di ragionevolezza»
come statuito da Corte costituzionale n. 40 del 2011  e  n.  432  del
2005. 
    31. A questo fine, la giurisprudenza  costituzionale,  sempre  in
materia di misure di assistenza sociale  da  garantire  ai  cittadini
extracomunitari in possesso di titoli  validi  di  soggiorno  ma  non
della carta  di  soggiorno,  ora  permesso  di  lungo  soggiorno,  ha
precisato  la  necessita'  che,  fermi  gli   ulteriori   presupposti
richiesti per la fruizione delle misure di assistenza sociale, «[...]
nell'ottica della  piu'  compatibile  integrazione  sociale  e  della
prevista equiparazione, per  scopi  assistenziali,  tra  cittadini  e
stranieri extracomunitari, di cui all'art. 41 del decreto legislativo
25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero) -  il  soggiorno  di  questi  ultimi  risulti,  oltre  che
regolare, non episodico ne' occasionale»  (Corte  cost.  n.  230  del
2015). 
    32. Neppure le considerazioni svolte nella recente sentenza della
Corte  costituzionale  n.  50  del  2019,  in  tema  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 80, comma 19, della legge n.  388  del  2000
nella parte  in  cui  subordina  il  diritto  a  percepire  l'assegno
sociale, per gli stranieri extracomunitari,  alla  titolarita'  della
carta di soggiorno (ora  permesso  di  lungo  soggiorno)  pare  possa
risolvere il dubbio  di  costituzionalita'  relativo  alla  norma  in
esame. Infatti, il soddisfacimento di tale  condizione  per  il  solo
straniero extracomunitario e' stato  ritenuto  non  irragionevole  in
virtu' del fatto che l'assegno sociale e' misura che, rivolgendosi  a
chiunque abbia compiuto 65 anni di eta', persegue finalita' peculiari
e diverse rispetto a quelle proprie delle misure di assistenza legate
a specifiche  esigenze  di  tutela  sociale  della  persona  che  non
tollerano  discriminazioni,   come   nel   caso   delle   invalidita'
psicofisiche. Ha, in particolare, affermato la Corte  costituzionale,
nella sentenza da ultimo citata, che «[...]  Tali  persone  ottengono
infatti, alle soglie dell'uscita dal mondo del lavoro, un sostegno da
parte della collettivita' nella quale hanno operato (non  a  caso  il
legislatore esige in capo al cittadino stesso  una  residenza  almeno
decennale in Italia), che e' anche un corrispettivo solidaristico per
quanto doverosamente offerto  al  progresso  materiale  o  spirituale
della societa' (art. 4 Cost.)». 
    33.  Il  profilo  di  irragionevolezza  appena  illustrato  e  la
disparita' di trattamento che ne consegue, in definitiva,  dovrebbero
condurre alla declaratoria di incostituzionalita'  -  per  violazione
dell'art. 3 della Costituzione - dell'art. 1, comma 125, legge n. 190
del  2014,  nella  parte  in   cui   richiede   ai   soli   cittadini
extracomunitari ai fini  dell'erogazione  dell'assegno  di  natalita'
anche la titolarita' del permesso unico  di  soggiorno,  anziche'  la
titolarita' del permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un  anno
in applicazione della disposizione generale  contenuta  nell'art.  41
decreto  legislativo  n.  286  del  1998,   norma   che   rappresenta
l'equilibrato bilanciamento tra il diritto  dell'extracomunitario  di
godere, a parita' di trattamento  con  i  cittadini  italiani,  delle
misure di assistenza sociale e il riscontro  di  una  presenza  dello
stesso non temporanea ne' episodica sul territorio nazionale. 
    34. Altro  profilo  di  denuncia,  conseguente  a  quello  appena
illustrato,  e'  quello  relativo  all'art.  31  della  Costituzione,
giacche' l'irragionevole  disparita'  di  trattamento  ai  danni  dei
cittadini extracomunitari prodotta dalla norma  denunciata  determina
anche l'effetto di violare i  diritti  protetti  dall'art.  31  della
Costituzione, in forza del  quale  la  Repubblica  si  fa  carico  di
agevolare con misure economiche ed altre  provvidenze  la  formazione
della famiglia e di proteggere la maternita' e l'infanzia. 
    35. E' evidente, infatti, che la richiesta della titolarita'  del
permesso di lungo soggiorno per l'erogazione di un sostegno economico
finalizzato  ad  incentivare  le  nascite  e  ad  alleviare  il  peso
economico del mantenimento del  nuovo  nato  impedisce  di  fatto  ed
irrimediabilmente la realizzazione della garanzia costituzionale  per
quelle famiglie e per quei figli in cui nessuno dei  genitori  e'  in
possesso del permesso di lungo soggiorno, pur  trovandosi  le  stesse
famiglie in modo non episodico o temporaneo a risiedere in territorio
nazionale e vivendo  nelle  medesime,  se  non  peggiori,  condizioni
economiche. 
    36. L'effetto, inevitabile, pare essere quello di negare per tali
nuclei  familiari  e  per  i  loro   nuovi   nati,   in   radice   ed
irrimediabilmente,  la  realizzazione  del  diritto   sancito   dalla
Costituzione, con  effetti  disgreganti  del  tessuto  sociale  della
nazione nel nucleo originario ed essenziale della famiglia. 
    37. L'art. 1, comma 125, legge n. 190  del  2014,  inoltre,  pare
violare anche l'art. 117,  primo  comma,  Cost.,  in  relazione  agli
articoli 20, 21, 23, 33 e 34 CDFUE, che,  rispettivamente,  enunciano
il principio di uguaglianza ed il divieto di  discriminazioni,  anche
per cittadinanza, riconoscono il diritto dei bambini «alla protezione
e alle cure necessarie  per  il  loro  benessere»,  garantiscono  «la
protezione della famiglia sul piano giuridico, economico  e  sociale»
nonche' riconoscono  «il  diritto  di  accesso  alle  prestazioni  di
sicurezza sociale e ai servizi sociali che assicurano protezione». 
    38. Il diniego dell'assegno di natalita' di cui all'art. 1, comma
125,  legge  n.  190  del  2014,   pare   integrare,   difatti,   una
discriminazione a causa della nazionalita', come  pure  espressamente
vietato  dall'art.  12,   lettera   e),   della   direttiva   2011/98
(applicabile ai cittadini di Paesi terzi, titolari del permesso unico
di soggiorno come gli odierni contro ricorrenti),  che  espressamente
prevede il diritto dei lavoratori di cui  all'art.  3,  paragrafo  1,
lettere b) e c), di beneficiare dello stesso trattamento riservato ai
cittadini dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne -
fra  l'altro  -  i  settori  della  sicurezza  sociale  definiti  nel
regolamento (CE) n. 883/2004. 
    39. In particolare, va ricordato che  la  giurisprudenza  europea
che ha avuto modo di esaminare la direttiva  in  questione  sotto  il
profilo dei diritti sociali  per  cui  va  garantita  la  parita'  di
trattamento (CGUE 21  giugno  2017  C-4491/2016)  ha  avuto  modo  di
precisare  che  «[...]  la  distinzione   fra   prestazioni   escluse
dall'ambito di applicazione del regolamento n. 883/2004 e prestazioni
che vi rientrano e' basata essenzialmente sugli elementi  costitutivi
di ciascuna prestazione, in particolare sulle  sue  finalita'  e  sui
presupposti per la sua attribuzione, e non sul fatto che essa  sia  o
no qualificata come prestazione di sicurezza sociale da una normativa
nazionale (v., in tal senso, in particolare, sentenze del  16  luglio
1992, Hughes, C-78/91, EU:C:1992:331, punto 14; del 20 gennaio  2005,
Noteboom, C-101/04, EU:C:2005:51, punto 24, e del  24  ottobre  2013,
Lachheb, C-177/12, EU:C:2013:689, punto  28).  Una  prestazione  puo'
essere considerata come una prestazione di sicurezza sociale  qualora
sia  attribuita  ai  beneficiari  prescindendo  da  ogni  valutazione
individuale e discrezionale delle loro esigenze personali, in base ad
una situazione definita per legge, e si riferisca a  uno  dei  rischi
espressamente elencati nell'art. 3, paragrafo 1, del  regolamento  n.
883/2004 (v. in tal senso, in particolare,  sentenze  del  16  luglio
1992, Hughes, C-78/91, EU:C:1992:331, punto 15; del  15  marzo  2001,
Offermanns,  C-85/99,  EU:C:2001:166,  punto  28,  nonche'   del   19
settembre   2013,   Hliddal   e   Bornand,   C-216/12   e   C-217/12,
EU:C:2013:568, punto 48)». Inoltre, la stessa sentenza  ha  affermato
che «[...] l'espressione "compensare i carichi familiari" deve essere
interpretata nel senso che essa fa riferimento, in particolare, a  un
contributo pubblico al bilancio familiare, destinato ad alleviare gli
oneri derivanti  dal  mantenimento  dei  figli  (v.,  in  tal  senso,
sentenza del  19  settembre  2013,  Hliddal  e  Bornand,  C-216/12  e
C-217/12, EU:C:2013:568, punto 55 e giurisprudenza ivi citata)». 
    Pertanto, la sentenza ha concluso affermando che l'art. 12  della
direttiva  2011/98  prevede  «[...]  un  diritto  alla   parita'   di
trattamento, che costituisce la regola generale, ed elenca le deroghe
a tale diritto che gli Stati membri hanno la facolta'  di  istituire.
Tali deroghe possono dunque essere invocate solo qualora  gli  organi
competenti nello Stato membro interessato per  l'attuazione  di  tale
direttiva abbiano  chiaramente  espresso  l'intenzione  di  avvalersi
delle  stesse  (v.,  per  analogia,  sentenza  del  24  aprile  2012,
Kamberaj, C-571/10, EU:C:2012:233, punti  86  e  87)»  e  che  «[...]
l'art. 12 della direttiva 2011/98 deve essere interpretato nel  senso
che esso osta a una  normativa  nazionale  come  quella  oggetto  del
procedimento principale, in base alla quale il cittadino di un  paese
terzo, titolare di un permesso unico ai sensi  dell'art.  2,  lettera
c), di tale direttiva, non puo' beneficiare di una  prestazione  come
l'ANF, istituito dalla legge n. 448/1998». 
    40.  Alle  argomentazioni  sin  qui  svolte  consegue  che   deve
dichiararsi rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 125, legge n. 190  del
2014, in relazione agli articoli 3  Cost.,  31  Cost.  e  117,  primo
comma, Cost. quest'ultimo in relazione agli articoli 20, 21, 24, 31 e
34 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea  (CDFUE),
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo  il  12
dicembre  2007,  nella  parte  in  cui,   ai   fini   dell'erogazione
dell'assegno di natalita', richiede ai soli cittadini extracomunitari
anche la titolarita' del permesso unico  di  soggiorno,  anziche'  la
titolarita' del permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un anno,
in applicazione della disposizione generale  contenuta  nell'art.  41
decreto legislativo n. 286 del 1998. 
    A norma dall'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87,  va  dichiarata
la sospensione del presente procedimento con l'immediata trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale. 
    La cancelleria provvedera' alla notifica di copia della  presente
ordinanza alle parti e al Presidente del  Consiglio  dei  ministri  e
alla comunicazione  della  stessa  ai  presidenti  della  Camera  dei
deputati e del Senato della Repubblica.